Forest Garden | Vincenzo Guarnieri

cantieri immateriali

Il progetto pianpicollo selvatico forest garden è stato realizzato all’interno del territorio di Pianpicollo Selvatico nel comune di Levice (CN) a partire dall’inverno del 2013. È nato dal desiderio di creare un nuovo “cantiere (im)materiale” al fine di sperimentare diverse forme di interazione con il territorio. Il processo ha permesso di indagare in prima persona la relazione tra il concetto di “selvatico” e quello di “domestico”.

L’approccio progettuale impiegato per la realizzazione dell’opera è stato quello adottato nell’ambito della permacultura. Tale approccio di tipo interdisciplinare è volto a concepire e promuovere la strutturazione di sistemi complessi in cui i flussi di materia e di energia siano minimi, mentre le relazioni tra gli elementi che ne fanno parte e, di conseguenza, l’efficienza complessiva siano massimi. L’idea di fondo è quella di ispirarsi ai sistemi viventi per realizzare un nuovo sistema all’interno del quale l’uomo dovrebbe integrarsi armonicamente con tutti gli altri elementi. Nel caso del forest garden (definito anche food forest o bosco commestibile) il sistema vivente di riferimento è quello del bosco/foresta. E uno dei prodotti che generalmente si cerca di ottenere in modo efficiente è il cibo.

Il progetto è stato realizzato in 5 fasi: osservazione, visione, pianificazione, sviluppo e implementazione.

Osservazione

Il territorio di Pianpicollo Selvatico è stato frequentato e osservato per due anni. Al termine di questo periodo è stato possibile individuare un’area ritenuta adatta alla realizzazione dell’opera.

L’area si trova sul versante rivolto a Sud-Ovest di una collina alla cui base è presente un prato (un tempo coltivato a cereali e fagioli, oggi impiegato per la produzione di fieno), mentre sul versante rivolto a Nord-Est, estremamente ripido, è presente un bosco quasi del tutto inaccessibile. La collocazione tra un’area coltivata, dove gli effetti della mano dell’uomo sono evidenti, e un’area boschiva, dove l’intervento umano è stato minimo, risulta particolarmente funzionale al raggiungimento di uno degli obiettivi del progetto, l’indagine della relazione tra selvatico e domestico.

Vista dall’alto di una parte del territorio di Pianpicollo Selvatico, prima della sua trasformazione. La freccia indica l’area individuata per il forest garden.

L’area individuata per il forest garden osservata dalla prospettiva della freccia presente nella foto precedente, prima dell'intervento.

Sul prato erano visibili dei materiali plastici di rivestimento e della ghiaia. La collina è sorretta alla base da un lungo muretto a secco in buono stato di conservazione, quasi completamente ricoperto da vegetazione spontanea, in particolare rovi e prugnoli. Nell’area interessata dall’opera sono presenti diversi alberi di piccole-medie dimensioni: ciliegi in pessimo stato di salute disposti a filari, salici, prugnoli, aceri campestri, querce e ornielli. Oltre ai rovi è notevole la presenza di ginestrelle. Il fondo è interamente ricoperto da una graminacea con foglie molto folte e lunghe. Ci sono alcuni esemplari di ciavardello, viburnum lantana e dafne laureola. Si osservano i segni del passaggio di cinghiali e caprioli.

Sulla sommità della collina e su tutto il ripido versante esposto a Nord-Est sono presenti castagni, querce, carpini, ornielli e faggi secolari.


Visione

In questa fase sono state liberamente immaginate le caratteristiche e le funzioni che il forest garden avrebbe dovuto possedere in questo caso specifico: un luogo “strano”, inserito organicamente nel contesto ma al tempo stesso facilmente riconoscibile, in grado di offrire a chiunque lo attraversi un’esperienza fisica ed emotiva (estetica), ricco di biodiversità, popolato da numerosi elementi vivi disposti secondo un certo “ordine”, capace di fornire cibo. Nel complesso si è immaginato il forest garden come un essere vivente complesso.

Pianificazione e sviluppo

La disposizione degli elementi (alberi, arbusti, strutture, ecc.) nello spazio è stata progettata considerando le relazioni tra questi. A tal fine è stata effettuata un’analisi bisogni/prodotti: per ciascun elemento è stato elencato tutto ciò di cui necessita e tutto ciò che produce. La disposizione è stata finalizzata a ottimizzare i flussi di materia ed energia così individuati.

In questa fase sono stati inoltre considerati i flussi delle persone che interagiranno con il progetto e i fattori ambientali “esterni” come l’irraggiamento solare, la direzione e la forza del vento, la disponibilità di acqua, la presenza di animali selvatici, ecc.

Nell’individuazione delle piante da introdurre (o da non estirpare) è stato preso in considerazione il cosiddetto modello dei sette livelli che tiene conto della stratificazione osservabile nei boschi e nelle foreste:

livello 1: alberi di prima grandezza (altezza >20 metri)

livello 2: alberi di seconda e terza grandezza (altezza <20 metri)

livello 3: arbusti

livello 4: erbacee

livello 5: rizomatose (piante da radice)

livello 6: tappezzanti

livello 7: rampicanti (piante che attraversano tutti i livelli)

Oltre a considerare questo modello, la scelta delle piante ha privilegiato le specie perenni piuttosto che quelle annuali e, quando possibile, le varietà che necessitano del minor intervento umano e che siano il più vicino possibile alle corrispondenti varietà selvatiche.

Implementazione

La realizzazione pratica dei lavori ha previsto come primo intervento l’estirpazione dei rovi e il taglio di parte degli alberi presenti nell’area. L’approccio non è stato quello di “pulire” tutto allo scopo di poter seminare e piantare con maggiore comodità, ma piuttosto quello di sostituire e integrare gradualmente la vegetazione già presente.

Vista la discreta pendenza, per contribuire a sostenere il suolo della collina e impedirne il dilavamento sono state realizzate alcune palificate semplici con legno di castagno prelevato dalla collina stessa.

Per proteggere, almeno in una prima fase, dal passaggio di animali selvatici è stata allestita una recinzione elettrica.

Seguendo la disposizione pianificata in precedenza, sono state inserite le seguenti specie (a titolo di esempio):

Alberi: melo rigadin, melo rusnent, melo belfiore, pero martin sec, pero prus dal babi, ciliegio fornace, prugno regina claudia, prugno ramassin, albicocco, cachi, melograno.

Arbusti: ribes rosso, nero e bianco, mora, lampone, lycium barbarum (goji), elaeagnus multiflora (goumi), aronia melanocarpa, lonicera kamtschatica (mirtillo siberiano), ecc.

Altre piante (erbacee, rampicanti, tappezzanti, ecc.): consolida maggiore, borragine, cardo, carciofo, finocchio selvatico, aneto, vite, nasturzio, calendula, rucola selvatica, trifoglio nano, fragola di bosco, aromatiche varie, perilla frutescens, betonica, pisello selvatico, ecc.

Risultati e riflessioni

Dopo due anni di vita, il forest garden è ancora in uno stato “embrionale”. Tuttavia alcune delle caratteristiche desiderate, come la presenza di frutti commestibili, hanno cominciato a manifestarsi.

La sperimentazione ha permesso di evidenziare le differenze in termini di fertilità del suolo, presenza di acqua ed esposizione solare tra la collina del forest garden e il versante opposto della valle (nei pressi del borgo), dove è stato preparato un orto: la maggior parte delle piante che crescevano rigogliose nell’orto non sono state in grado di sopravvivere nel forest garden.

Il tentativo di ispirarsi ai sistemi viventi “naturali” per realizzare l’ecosistema forest garden ha permesso di evidenziare una serie di contraddizioni che obbligano a concepire nella sua complessità la relazione tra selvatico e domestico, cioè tra ciò che esiste indipendentemente dal lavoro e dalla presenza dell’uomo e tutto il resto.

Oggi, in questa parte dell’occidente, a 10.000 anni dall’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento, la maggior parte delle piante e degli animali di cui ci nutriamo sono il frutto di un lento e continuo lavoro di selezione da parte dell’uomo messo in atto con le conoscenze e le tecnologie che ha avuto man mano a disposizione. Immaginare di poter realizzare un bosco commestibile totalmente autosufficiente e dover faticare soltanto per raccoglierne i frutti può risultare ingenuo.

Le piante di melo che sono state inserite nel progetto hanno inevitabilmente portato l’attenzione agli interventi umani che questi alberi hanno subito in precedenza, a partire dalla pratica dell’innesto. Quando possibile, sono state scelte piante con portainnesto franco o selvatico (nato da seme, tendenzialmente più longevo e rustico). In certi casi è stato impiegato un portainnesto clonale. Un discorso analogo vale per la maggior parte degli alberi e, in alcuni casi, anche degli arbusti e delle piante erbacee.

L’introduzione di alcuni esemplari di elaeagnus multiflora è stata motivata dalle sue proprietà azotofissatrici (a supporto di quella analoga condotta in prossimità delle radici delle numerose ginestrelle già presenti nell’area e che, per tanto, sono state per la maggior parte salvaguardate). Si tratta di una pianta alloctona originaria della Cina e del Giappone che produce frutti noti come bacche di goumi. Nel progetto si è scelto in alcuni casi di far convivere organismi autoctoni con organismi alloctoni e questa può rappresentare una “forzatura” o una mancanza di coerenza nel progetto. Tuttavia, nella storia della vita sul pianeta gli organismi hanno sempre migrato generando nuove condizioni ecologiche. Il cibo di cui ci nutriamo oggi deriva per la maggior parte da specie che un tempo sono state “alloctone”. Il confine tra una forzatura ad opera dell’uomo e un regolare processo biologico non appare così nitido.

Risulta evidente che “lasciar fare tutto alla natura” può costituire un’impresa irrealizzabile se si ha la pretesa che questo “lasciar fare” avvenga in presenza dell’uomo o, addirittura, avvenga per fornirgli servizi e beni, come il cibo. La presenza umana è inevitabile, quanto meno in questo territorio. Se ne percepiscono i segni nei muretti a secco e nella cura del paesaggio. In termini più generali, i segni della presenza dell’uomo si possono riscontrare nel patrimonio genetico della maggior parte delle piante e degli animali di cui si nutre. Non si possono ignorare 10.000 anni di storia dell’agricoltura. Tuttavia, non si possono nemmeno ignorare i precedenti 190.000 anni circa di storia della nostra specie, periodo in cui tutti gli individui hanno vissuto da cacciatori-raccoglitori.

Il confine tra “selvatico” e “domestico” non è così netto. Esistono molte sfumature che appaiono evidenti dallo studio del nostro genoma e dei nostri comportamenti. L’esperienza immersiva vissuta con la realizzazione teorica e pratica del forest garden di Pianpicollo Selvatico ha offerto una prospettiva diversa su tale confine. Emerge l’inevitabilità di ereditare gli effetti di comportamenti e scelte che l’uomo ha fatto nel corso della storia. Emerge anche il peso che tali scelte possono avere. E quindi un maggiore consapevolezza sul senso di responsabilità.